venerdì, 19 aprile, 2013, 17:02
Li vedo scorrere uno a uno come se fossero parte del mio popolo, ma non posso credere che questa gente sia della mia stessa razza.
Non hanno niente da spartire con il panettiere o con l'idraulico, non ricordano neanche vagamente il commercialista o l'avvocato e non assomigliano al poeta, al navigatore e nemmeno al netturbino.
I loro cognomi sono spesso identici a quelli delle persone che conosco, ma quanto sono lontani e differenti dalla gente che abitualmente incontro.
Spengo il televisore e cerco di pensare ad altro perché la nausea questa volta è troppa.
Questo esibirsi sempre e dovunque, questa incapacità di parlare e di trovare le parole per farsi capire, questo "urlare" di abbassare i toni...
Queste magliette da stadio, queste mortadelle in piazza, questo cercare la complicità di un popolo sempre più sprovveduto...
Questa totale assenza di rispetto per le istituzioni di cui fanno parte, questa incapacità di capire a che ora andarsene, questo mercato d'interessi personali raccontati per pubblici...
La gente che non c'è non è rappresentata da nessuno e gli avvoltoi mangiano indisturbati il cadavere della sua assenza.