domenica, 11 febbraio, 2024, 08:35
Si esce un po' storditi dopo le oltre due ore dell'ultima pellicola di Yorgos Lanthimos che mescola bianco e nero e una tavolozza di colori che pennella una Londra simil-vittoriana o una nave che riporta alla mente Genet raccontato da Fassbinder.
Le citazioni più o meno volute sono davvero tante e c'è da perdersi in quel che resta dell'illuminismo distopico caro ai nostri tempi. Emancipazione femminile e creature sperimentali per un padre creatore a sua volta creato da un altro padre. il corpo di una madre posseduto dalla propria figlia e una meravigliosa Emma Stone che riesce a entrare in quei panni con la grazia e l'innocenza che non sembra lasciarsi macchiare da niente e da nessuno. Il lungo percorso d'apprendimento di una donna priva di ogni filtro finisce col mettere alla berlina l'inadeguatezza e l'ipocrisia di un mondo che si risolve in regole incapaci di contenere il desiderio di essere senza sapere bene chi e come.
Un uso intensivo del grandangolare che focalizza l'attenzione sul particolare e non ti permette di cogliere l'insieme.
L'Emilio redivivo, le ombre di Murnau, la danza gotico-gitana si traducono in un'estetica che è già un film anche senza sceneggiatura e non è che questa sia da meno. Più che convincenti Ruffalo e Dafoe che si perdono, s'infatuano e s'innamorano di un esperimento che sfugge dalle loro mani e non può essere né un territorio da conquistare né un laboratorio che possa contenere un'anima che vuole diventare altro.