mercoledì, 10 settembre, 2014, 09:20
Sono ancora io,
la penna dopo il calamaio
la maglia blu dopo il grembiule
lo stereo dopo il mangiadischi.
Sono ancora io,
il tubo dopo la zampa
la calvizie dopo i capelli
la quiete dopo il temporale.
Sono ancora io,
dai titoli di testa a quelli di coda
sono ogni singolo frammento
e l'illusione del movimento.
Ognuno ha il suo montaggio
taglia le scene poco gradevoli
cuce come meglio crede
l'effimero gioco del tempo.
Sono ancora io,
l'orecchino che dice esisto
la frangia che copre lo sguardo
la fatica di pensarmi adulto.
Sono ancora io,
passo felino e puro istinto
ragione tra le ragioni
cuore in perenne tormenta.
Sono ancora io,
dall'ouverture iniziale all'epilogo
sono la realtà di un istante
e l'attimo che tutto riassume.
Ognuno sceglie una destinazione
torna diverso dal proprio viaggio
mescola ricordi come carte
e torna a puntare un futuro.
Sono ancora io,
la stola sulle spalle
le bermuda e la maglietta
il cellulare dopo il gettone.
Sono ancora io,
il mare dopo la montagna
la pioggia dopo il sole
la mail dopo la cartolina.
Sono ancora io,
a chiedermi chi sono stato
a pensare a chi e se sarò
se mai acciufferò quel treno.
Ognuno attende alla propria stazione
legge paziente le proprie rughe
teme e desidera cambiare
anche se mai è stato uguale.
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venerdì, 5 settembre, 2014, 09:52
Le palline di Fukuoka sono un piccolo mistero di argilla e di semi (biologici e autoprodotti) che si affidano alla natura e alla sua conoscenza, per dare vita a una pianta o a un fiore che il terreno stesso sceglierà come quelli più in sintonia con l'ambiente circostante.
Ho fatto un piccolo esperimento con una di queste palline che un amico mi ha regalato e il risultato, è il girasole ritratto nella fotografia.
Lui, ha trovato il suo posto nel mezzo del giardino e prima o poi, chi può dirlo, chiunque sta cercando una terra in cui vivere, potrà trovare l'ambiente più opportuno per crescere e seguire il proprio sole.
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martedì, 2 settembre, 2014, 18:29
Quasi adatti a questo mondo, con un piede dentro e l'altro fuori, con la testa un po' qui, ma anche altrove.
Quasi adatti alla scuola, ma così dipendenti dallo spirito di chi insegna e con poca voglia di studiare quello che non incontra il nostro interesse.
Quasi adatti al lavoro: se non fosse per quella scarsa propensione ad ascoltare ed esegure un ordine perentorio, potremmo diventare uomini di successo.
Quasi adatti ai rapporti interpersonali, penalizzati da quella brutta abitudine di esprimere sempre e comunque la propria idea, anche quando sarebbe opportuno accontentare, almeno a parole, chi desidera solo un cenno del capo.
Quasi adatti al comando, ma del tutto svogliati e poco interessati ai giochi di potere che appassionano una buona parte di questa umanità.
Quasi adatti a vivere una fede, ma del tutto incapaci di mettere a tacere la propria coscienza e di affidare al superiore di turno la responsabilità delle proprie azioni.
Siamo quasi adatti e per troppo tempo abbiamo concesso ai manipolatori di turno di rimettere in questione una vita che non ha mai smesso di cercare la propria trasparenza.
Siamo quasi adatti e non possiamo essere altrimenti; con buona pace di chi continua a coltivare attese poco realistiche nei nostri confronti.
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domenica, 31 agosto, 2014, 08:02
Scelgo una pagina bianca e faccio il tifo per chi non ha fretta di riempirla.
Parteggio per quanti accettano la sfida e fanno fatica, cercando parole che non siano già state confezionate da altri.
Non è semplice continuare a osservare un foglio che non trova un termine qualunque per scrivere il proprio amore, raccontare un affetto o condividere un'idea.
Non mi fido di chi copia e incolla o di chi cerca rifugio nei quattro salti in padella.
Puoi raccontare un albero senza aver trascorso un po' di tempo con lui?
Puoi scrivere di una nuvola prima di aver fantasticato in sua compagnia?
Puoi immaginare una pioggia che non ti abbia realmente bagnato?
Quando la pagina è colma del tuo inchiostro...
Quando hai accolto la domanda che abitava il tuo silenzio...
Quando un frammento di vita si è finalmente ricongiunto alle tue parole...
E' allora che ti chiedi: chi è quell'essere che prende a prestito le mie mani e muove l'orizzonte del pensiero?
Sorridi, aggiungi una sedia al tuo tavolo e finalmente, davvero hai condiviso.
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venerdì, 29 agosto, 2014, 09:28
Io ricordo altre connessioni; quelle che univano la mente al cuore, il pensiero alla ragione, i piedi alla terra.
Io ricordo il cinguettio degli uccelli e contemplo ancora il mistero delle ali distese che suggerivano un'idea di libertà così lontana dall'ostentazione pubblica di quello che, meglio sarebbe, se restasse privato.
Io ricordo una piazza in cui era lecito incontrarsi senza chiamare in causa il resto del mondo, dimenticando le persone che in un preciso istante sono con noi.
Io ricordo le pagine dei libri e il profumo della carta nei lunghi pomeriggi in una biblioteca e non provo la stessa vertigine quando allungo l'indice e incontro la freddezza di uno schermo.
Io ricordo un televisore che si accendeva a determinate ore e restava muto per buona parte del giorno, ricordo una televisione con meno canali e più contenuti, ricordo un solo apparecchio per ogni comunità familiare.
Io ricordo le pagine di un quotidiano che distingueva la cronaca dal gossip, la notizia dall'opinione, la politica dallo sport.
Io ricordo bambini che potevano giocare anche senza una società sportiva, per il puro divertimento di trascorrere ore e ore con i propri amici.
Io ricordo le fontane che placavano la sete più di quanto non riescano a fare i quintali di lattine colme di inutili zuccheri, coloranti e addittivi.
Io ricordo un secolo che non c'è più e sono sempre meno interessato a quello presente...
Cerco di usare con moderazione quanto mi offre la tecnologia del momento e sono consapevole che quegli stessi oggetti in più di una circostanza abbiano migliorato le nostre vite. Nello stesso tempo, mi rendo conto di dover mettere un freno a quelle facilitazioni che troppo spesso, trasmutano il mio essere persona in un banale consumatore.
Non voglio rinuciare a correre su un prato e non ho bisogno di telefonare a chi vedrò tra dieci minuti.
Posso trattenere un pensiero, metterlo in attesa, provare a vedere se domani avrò ancora lo stesso desiderio di condividerlo.
Perché in ultima istanza, non sono uno smarthphone o un televisore il vero problema, ma la libertà di poter scegliere quando, se e per quale motivo risulta opportuno farne a meno.
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