lunedì, 21 febbraio, 2011, 09:35
Chiamami ancora Sanremo e, se fossi Vecchioni, mi chiederei come sia possibile trionfare sullo stesso palco che due anni fa ha premiato Carta Marco e, l'anno scorso, Scanu Valerio: che il gap tra la canzone d'autore e gli "amichetti" di Maria De Filippi sia ormai del tutto inesistente?
Chiamati ancora Morandi e sarà un nome popolare e un cantante simpatico, ma sul palco dell'Ariston, vestito come per il giorno della cresima, è nudo in quello sforzo di condurre che risulterebbe inadeguato anche alla fiera del salsicciotto austriaco.
Chiamali pure, Luca e Paolo: simpatici e divertenti, ma con la sordina che attutisce il peso delle loro affermazioni e uno sforzo bipartisan tanto politically correct, quanto capace di nascondere e confondere quel che realmente pensano e sentono.
Chiama anche Benigni(chissà quanto costa uno spot pubblicitario prima del suo ingresso in scena); sarò un cuore arido, ma sentirgli cantare l'inno di Mameli non mi commuove affatto e, rido un po' acido di questa ipocrisia tutta Italiana.
Chiamate e richiamate per Mazzi e Mazza che stanno all'innovazione come il Mulino Bianco al genuino.
Se penso alla cifra del canone Rai e ai compensi milionari di questa gente che abbassa di anno in anno il livello di quel che chiamiamo spettacolo, inizio a chiamare con la dizione della Oxa e l'ottava di Albano per dare disdetta.
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venerdì, 18 febbraio, 2011, 16:51
Sanremo canta e Roma urla, urla così forte che puoi sentirla anche in padania.
Tutti gli uomini del presidente e quelli contro: tra non molto diventerà difficile spiegarlo a quelli che cercano pane.
Quelli che quotidianamente sbarcano e quelli che sono nati in un paese raccontato come se fosse sempre Carnevale...
Noi non siamo l'Egitto e neanche la Grecia, no che non lo siamo.
Noi sappiamo sempre riprenderci, abbiamo più di un coniglio nascosto nel cappello e tra uno sbadiglio e l'altro raschiamo il barile e cerchiamo un fondo nascosto, un tesoretto qualunque, un capitale che rientra con lo scudo e, improvvisamente ripulito, torna a soggiornare in un paradiso fiscale.
Noi che non abbiamo bisogno di regole; ne scriviamo tante, ma solo per il gusto di trasgredirle una dopo l'altra e di poterci lamentare quando sono gli altri a sminuire il codice di una strada o di una vita.
Noi che la coscienza è per le anime belle e la vita è tutta un'altra cosa, noi che siamo tutti cristiani se mai ci toccano il crocifisso da un'aula, basta che resti immobile e muto sul muro in cui lo abbiamo appeso.
Noi che pensiamo al 17 marzo e ringraziamo il cielo perché capita di giovedi e, l'abbiamo scampata bella, metre qualcuno prova l'anatema "Va pensiero" ed esorcizza Mameli.
Noi che aspettiamo, non ci stanchiamo mai di aspettare e sappiamo sempre qual è il momento opportuno per abbandonare la nave prima che affondi: a dire il vero, spesso sbagliamo, ma siamo talmente buoni e pronti a riaccoglierci tutte le volte che scegliamo d'essere divisi.
Noi che non cresciamo mai e produciamo latte di pessima qualità, perché sappiamo che dovremo buttarlo via e, se il governo tiene, rimanderemo a settembre la nostra multa.
Noi, senza una notizia: diafani, impalpabili, effimeri, eterei con il vanto di avere più testate in edicola che cervelli in parlamento.
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mercoledì, 16 febbraio, 2011, 19:14
Gattuso Gennaro: peggio di Materazzi!
La fascia di capitano del Milan sul braccio di un calciatore che avrà tanto cuore, pochissimi polmoni e neanche un briciolo di testa è inaccettabile.
Si può perdere, ma non si può cadere come polli di fronte alle provocazioni di Joe Jordan e rimediare una figuraccia capace di redimere l'Inter di Valencia.
Spero che arrivi una punizione esemplare, che la squalifica sia di quelle lunghissime e che la società addebiti i danni sullo stipendio dell'ex testimonial della Vodafone.
E Allegri? Dov'era durante la sceneggiata? Non è in grado di usare guinzaglio e museruola con il senatore rabbioso?
L'Inter è diventata il Milan e viceversa: la palma dei buffoni è tutta per la società di Via Turati.
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martedì, 15 febbraio, 2011, 10:10
A volte un tempo è qualcosa di più: è malattia e guarigione, è sconfitta e successo, è la fine, ma segna anche un nuovo inizio.
A volte sei adulto e, tuttavia, ancora quel bambino e già quel vecchio in cui ti sembra di poterti riconoscere.
A volte un tempo è tutto il tempo: è la guerra ch'è finita e la sommossa che un esercito non riesce a governare, è il tiranno spodestato da un trono, ma anche il volto amabile del futuro despota che si sta accomodando.
A volte continuiamo a non capire e riproduciamo schemi mentali e storici che abbiamo appreso solo apparentemente: utilizziamo la memoria come un calco che torna a imprimere le stesse ferite, le medesime offese e riusciamo a stupirci di quell'unico inevitabile risultato ch'è lo stesso di sempre.
A volte dovremmo imparare davvero, provare a ricomporre un giorno a partire dal suo profilo migliore e trovare maggiore sincronia con quell'attimo che contiene i frammenti della realtà e dell'illusione.
A volte un tempo è l'infinito che continuiamo a negare, con i piedi drammaticamente incollati ai giorni di una storia che, senza un desiderio autentico d'eternità, non può che riprodurre fedelmente la prigione che abbiamo costruito e dal quale rifiutiamo di evadere.
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lunedì, 14 febbraio, 2011, 10:43
Se osservo il mercato, la folla, la pretesa dell'evidenza, il fanatismo, il turismo "spirituale" di chi non si perde un miracolo o un'apparizione, allora, riconosco che qualche perplessità me la porto dentro.
Se guardo alla fede del singolo, alle persone che scelgono di cambiare vita, ai testimoni che con immediatezza e semplicità raccontano la loro esperienza, tutto appare sotto una luce completamente nuova.
Ho rispetto per quanti credono in queste apparizioni e, sono convinto, che tutto il bene viene da Dio e a Dio ritorna.
Da un punto di vista personale, almeno oggi, non sento il bisogno di partire e di andare in un determinato luogo per sentirmi più vicino a Dio o per esprimere la mia devozione nei confronti della madre di Gesù, ma è chiaro che si tratta di una scelta personale.
Non ho mai incoraggiato nessuno in quella direzione, ma non me la sentirei neanche di scoraggiare chi sente il bisogno di recarsi a Medjugorje.
La Chiesa non obbliga nessuno ala credere nelle apparizioni mariane, non lo fa neanche quando essa stessa le riconosce autentiche: sono convinto che il reale valore e significato di questi eventi appartenga alla sfera privata di ogni persona e mi infastidiscono tanto le enfasi miracolistiche, quanto le risposte denigratorie di chi afferma con, non si sa bene quale certezza, che tutto sia falso.
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