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La differenza 
venerdì, 21 ottobre, 2011, 08:18


Noi che non siamo normali perché non riusciamo a sorridere della morte di nessuno, neanche di quella di uno dei tanti dittatori di questo mondo. Qualcuno perde il potere, qualcuno lo acquista e il risultato, difficilmente cambia: i buoni si autodefiniscono tali e, hanno già pronta la figurina che identifica il prossimo cattivo che minaccia il mondo.
Sembra la trama di un pessimo fumetto di supereroi o di un film western che continua a raccontare la cattiveria e l'inciviltà degli "indiani".
Noi che non siamo normali e siamo sprovvisti di partiti e tessere d'appartenenza che rafforzano la fragilità di un'identità che nutre se stessa ascoltando rigorosamente una sola campana.
Noi che non possiamo essere normali, se la normalità è la quotidiana soppressione delle differenze.
Se proprio dobbiamo essere uguali, allora, cercheremo di coltivare un sogno in cui ognuno è identico all'immagine più bella che ha sperato e creduto di se stesso.
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L'inutile antenna 
mercoledì, 19 ottobre, 2011, 09:25


La mia inutile antenna è ormai oggetto d'antiquariato.
Talvolta si connette alla memoria del tempo che fu e ricorda l'ora della tv dei ragazzi, un frammento d'un vecchio sceneggiato o il mezzobusto di un telegiornale che, almemo in parte, potevano giusticare il pagamento del canone televisivo.
La mia inutile antenna non ha resistito al passaggio al digitale terrestre e mi ha comunicato in ogni modo il suo disappunto per la solenne fregatura di una tecnologia inutile e superata.
La mia inutile antenna vuole andare a dormire senza incorrere nell'incubo di un Minzolini rapace, di un Facchinetti che scelga la colonna sonora del sogno o di un Fulvio Collovati che parli anziché utilizzare i piedi.
La mia inutile antenna, s'è spenta da mesi e non ha più nostalgia di quanto Rai3 faceva passare nelle ore notturne.
Nessun rimpianto.
Osservo la mia inutile antenna e insieme a lei, cerco la profondità di un segnale chiamato silenzio.
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This must be the place 
lunedì, 17 ottobre, 2011, 16:58


Se dovessi suggerire un film a una persona che di rado frequenta le sale cinematografiche, non avrei dubbi in proposito e per questo 2011 sceglierei l'ultimo capolavoro di Paolo Sorrentino.
"This must be the place" ha tutte le carte in regola per aggiudicarsi l'Oscar come miglior film straniero, è qualcosa di nuovo che attinge dalle grandi firme della regia anglosassone e, nello stesso tempo, resta un film Italiano.
E' un road-movie, ma il vero mezzo di trasporto è quell'uomo che cammina un po' curvo e goffo trascinando un trolley, con il viso prigioniero di un'adolescenza mai risolta.
Sean Penn è un gigante, una maschera bambina che tiene in ostaggio l'ipotesi di un adulto e nasconde se stesso, ora soffiando su un ciuffo di capelli, ora rifiutando di essere padre e di essere figlio.
La sceneggiatura è ricca di silenzi che hanno lo stesso valore delle parole che viaggiano ironiche e amare, ciniche e commoventi.
La colonna sonora di David Byrne (Talkin Heads) è coinvolgente e ricca di suggestioni che arrivano dritte dritte al cuore.
E dopo tanto viaggiare, finalmente un approdo: c'è la speranza di perdonare se stessi e di abbandonare i mostri della propria adolescenza e ogni paura di crescere.
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Fiducia 
venerdì, 14 ottobre, 2011, 10:24


Io ti credo e non è un atto di volontà o la conseguenza di quello che ritengo ragionevole.
Io ti credo e con largo anticipo metto una firma sulla verità dei tuoi sogni: mi sento parte di quello che altri definiscono un miraggio e posso tranquillamente svanire ai loro occhi e riapparire dove qualcuno mi può ben vedere.
Io ti credo perché so bene che quanto sembra strano e improbabile, accade puntuale ogni giorno.
Io ti credo e non ho bisogno di prove scientifiche o di dotte dissertazioni per rendere complicato quel ch'è semplice.
Io ti credo e tu credi in me: è un miracolo che si rinnova ogni mattino e, quale disgrazia è non esserne coscienti e incapaci di dire grazie.
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Vent'anni dopo... 
mercoledì, 12 ottobre, 2011, 08:24


Vent'anni dopo, sono ancora io e, penso di aver resistito alla tentazione di apparire per quello che non sono.
Il primo pensiero è tutto per mia madre che ha cambiato casa, ma non smette di scrivermi brevi lettere da quel tempo che non conosce più premura, nè ansia.
Penso agli amici che restano, a quelli incontrati un po' alla volta, a quelli per cui sono stato un giro di giostra e, a quelli che viaggiano ancora nel mio stesso scompartimento.
Sono più sereno di quanto fossi allora, più sicuro di me stesso: ho preso le distanze dai consigli per gli acquisti, dalle ricette per l'anima e dai piazzisti con soluzioni magiche per il corpo e rimedi veloci per lo spirito.
Non ho chiamato Padre nessuno su questa terra e non ho intenzione di iniziare adesso: ho considerato attentamente Freud e mi sono tenuto ben distante dai buffoni che amano prendersi troppo sul serio e non si accorgono della presunzione con cui vorrebbero indossare i panni di Dio.
Ho imparato a dubitare degli uomini di scienza: so bene che uno inventa la cura e l'altro la malattia e che la velocità di un neutrino è un dogma che regge sino alla scoperta di un nuovo velocista.
Tratto con rispetto i "Guru" che non sanno di essere tali e non vendono quello che hanno ricevuto in dono.
Ci sono pagine del Vangelo che ormai mi appartengono, altre, che attendono ancora un po' di coraggio e decisione in più per diventare davvero mie.
Non ho frequentato i salotti importanti e continuo a provare una buona dose di noia per quanti scelgono d'identificarsi con un titolo, con una posizione sociale o con il loro conto in banca.
Credo nelle persone vere e sono presenti ovunque; possono agitare una borsetta e frequentare un viale, avere sulle spalle un passato di tossicodipendenza, essere persone straordinariamente comuni o aver raggiunto il cuore dei loro sogni. Non importa dove sono, cosa fanno, come sono riusciti a sopravvivere; quello che conta, è semplicemente l'autenticità del loro essere.
Vent'anni dopo, penso ancora di poter essere migliore e mi accorgo di assomigliare sempre più a quello che sognavo di diventare.
Vent'anni dopo, ho capito che non è mai il caso di odiare, ma ho appreso l'arte di difendermi da chi non conosce rispetto e pensa di poterti sopraffare con l'arroganza e la presunzione del proprio "potere".
Vent'anni dopo, non ho più bisogno che mi battano le mani e chiedo a me stesso quell'approvazione che un tempo mi aspettavo dagli altri.
Vent'anni dopo, amo di più questo mondo e parlo tranquillamente con gli animali e con le piante e, per quanto possa apparire folle, ottengo più di una risposta.
Vent'anni dopo amo gli arcobaleni e gli aquiloni e li aspetto senza paura mentre fuori scoppia un temporale o il cielo fischia di un vento che non rende più semplici le mie prove di volo.
Vent'anni dopo, ho ancora più di un sogno da realizzare: chiedo il sostegno dei miei tanti angeli custodi (ne abbiamo più di uno in cielo come in terra) e affronto l'ebbrezza delle vertigini del tempo che mi è dato.
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