giovedì, 24 febbraio, 2011, 19:12
C'è una fontana, cè ancora...
ma acqua più non c'è e i bambini,
i bambini sono ormai automobili
e non succhiano più ghiaccioli,
sulle panchine vuote della piazza
c'erano anziani e bastoni di legno,
c'è ancora l'albero ma non la chioma.
C'è un bar, non più quell'osteria
la sedia rossa fuori dal negozio
non fuma più la sua sigaretta
e non riposa dopo l'ora di punta,
ho pantaloni sempre lunghi ormai
e anche la via ha cambiato nome.
C'è che la memoria fa acqua
e di alcuni, ho perso ricordo,
non sento più il rimbalzo
di un vecchio Tango ovalato,
c'è una lacrima per chi s'è perso
per chi correva troppo forte
con la macchina o con le siringhe.
C'è che sono ancora qui...
a conservare una storia di Tigli
di case abbandonate e fantasmi
di sogni innocenti derubati...
ci sono i banchi del mercato
il tribunale che non giudica più,
c'è il vento che a volte ritorna.
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mercoledì, 23 febbraio, 2011, 11:07
Baciamo le mani al dittatore che afferma di voler restare sino alla fine dei suoi giorni, costi quel che costi, anche un migliaio di vittime e, col passare dei giorni, probabilmente, anche di più.
Baciamo le mani e lasciamogli piantare la tenda per il suo circo, paghiamo giovani ragazze per accoglierlo e, per far sentire a casa propria il mitico Rais.
Baciamo le mani e stipuliamo accordi per fermare il flusso migratorio oggi e, prepariamoci ad accogliere i saldi di fine massacro.
Baciamo le mani e, vorremmo proprio non disturbare affatto, se solo l'Europa la smettesse di prendere posizione e lasciasse a ognuno il regime che meglio crede.
Baciamo le mani e paghiamo il conto, senza vergogna e senza rimorsi, tenendo pronto l'applauso per la prossima visita del comandante Libico.
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martedì, 22 febbraio, 2011, 09:31
La democrazia si esporta con le armi in Afghanistan e Irak e, al momento, risultiamo un po' presi sui due fronti per poter evadere nuove richieste.
Siamo talmente impegnati, al punto di dover aspettare qualche centinaio di morti prima di esprimere la nostra opinione in proposito.
Ovviamente nessuno chiede l'invio di truppe dell'esercito in Libia : abbiamo già dato del nostro peggio e non è il caso di ripetersi. Certo, non sarebbe poi un male definire in modo più chiaro Gheddafi e la sua vocazione alla dittatura e alla repressione, ma siamo troppo amici e non si sa mai; se s'arrabbia, le nostre coste potrebbero essere assaltate da un'orda di turisti del gommone.
Frattini non esporta democrazia senza richiesta scritta di Obama e la presidenza del consiglio, prima non vuole disturbare, poi bussa cautamente alla tenda di un uomo che dopo la recente tournée in Italia, ha messo da parte l'harem e tirato fuori la vecchia scatola di RisiKo.
Sono un po' leghista se penso al 17 marzo: le motivazioni sono differenti, ma neanche io ho voglia di festeggiare il tricolore che sventola tra le "sventole" di questo mezzo regime postribolare senza nè arte, nè parte.
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lunedì, 21 febbraio, 2011, 09:35
Chiamami ancora Sanremo e, se fossi Vecchioni, mi chiederei come sia possibile trionfare sullo stesso palco che due anni fa ha premiato Carta Marco e, l'anno scorso, Scanu Valerio: che il gap tra la canzone d'autore e gli "amichetti" di Maria De Filippi sia ormai del tutto inesistente?
Chiamati ancora Morandi e sarà un nome popolare e un cantante simpatico, ma sul palco dell'Ariston, vestito come per il giorno della cresima, è nudo in quello sforzo di condurre che risulterebbe inadeguato anche alla fiera del salsicciotto austriaco.
Chiamali pure, Luca e Paolo: simpatici e divertenti, ma con la sordina che attutisce il peso delle loro affermazioni e uno sforzo bipartisan tanto politically correct, quanto capace di nascondere e confondere quel che realmente pensano e sentono.
Chiama anche Benigni(chissà quanto costa uno spot pubblicitario prima del suo ingresso in scena); sarò un cuore arido, ma sentirgli cantare l'inno di Mameli non mi commuove affatto e, rido un po' acido di questa ipocrisia tutta Italiana.
Chiamate e richiamate per Mazzi e Mazza che stanno all'innovazione come il Mulino Bianco al genuino.
Se penso alla cifra del canone Rai e ai compensi milionari di questa gente che abbassa di anno in anno il livello di quel che chiamiamo spettacolo, inizio a chiamare con la dizione della Oxa e l'ottava di Albano per dare disdetta.
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venerdì, 18 febbraio, 2011, 16:51
Sanremo canta e Roma urla, urla così forte che puoi sentirla anche in padania.
Tutti gli uomini del presidente e quelli contro: tra non molto diventerà difficile spiegarlo a quelli che cercano pane.
Quelli che quotidianamente sbarcano e quelli che sono nati in un paese raccontato come se fosse sempre Carnevale...
Noi non siamo l'Egitto e neanche la Grecia, no che non lo siamo.
Noi sappiamo sempre riprenderci, abbiamo più di un coniglio nascosto nel cappello e tra uno sbadiglio e l'altro raschiamo il barile e cerchiamo un fondo nascosto, un tesoretto qualunque, un capitale che rientra con lo scudo e, improvvisamente ripulito, torna a soggiornare in un paradiso fiscale.
Noi che non abbiamo bisogno di regole; ne scriviamo tante, ma solo per il gusto di trasgredirle una dopo l'altra e di poterci lamentare quando sono gli altri a sminuire il codice di una strada o di una vita.
Noi che la coscienza è per le anime belle e la vita è tutta un'altra cosa, noi che siamo tutti cristiani se mai ci toccano il crocifisso da un'aula, basta che resti immobile e muto sul muro in cui lo abbiamo appeso.
Noi che pensiamo al 17 marzo e ringraziamo il cielo perché capita di giovedi e, l'abbiamo scampata bella, metre qualcuno prova l'anatema "Va pensiero" ed esorcizza Mameli.
Noi che aspettiamo, non ci stanchiamo mai di aspettare e sappiamo sempre qual è il momento opportuno per abbandonare la nave prima che affondi: a dire il vero, spesso sbagliamo, ma siamo talmente buoni e pronti a riaccoglierci tutte le volte che scegliamo d'essere divisi.
Noi che non cresciamo mai e produciamo latte di pessima qualità, perché sappiamo che dovremo buttarlo via e, se il governo tiene, rimanderemo a settembre la nostra multa.
Noi, senza una notizia: diafani, impalpabili, effimeri, eterei con il vanto di avere più testate in edicola che cervelli in parlamento.
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