martedì, 25 ottobre, 2011, 10:57
Chi rompe non paga più e i cocci sono nostri.
Chi rompe non si pone il problema dell'immoralità delle cifre che porta a casa prestando un presunto servizio al paese ridotto alla stregua di un cesso.
Chi rompe non si dimette mai, qualunque funziona svolga, non ha la minima responsabilità delle proprie azioni: attende che passi qualche giorno e torna a parlare come se nulla fosse mai accaduto.
Chi rompe sta al governo e continua a ignorare la crisi economica per concentrarsi sulle questioni personali del presidente del consiglio, ma sta anche all'opposizione continuando a ripetere "dimettiti", nella speranza di non doversi ritrovare a gestire l'attuale situazione.
Chi rompe può permettersi di insultare chiunque e utilizza un linguaggio più consono alla curva di uno stadio che al parlamento.
Chi rompe può trasmigrare da uno schieramento all'altro e monetizzare al meglio il proprio voto.
Chi rompe può permettersi di frequentare quando meglio crede il proprio posto di lavoro, ma può strombazzare qualsiasi cosa contro gli assenteisti che per mestiere non occupano una poltrona.
Chi rompe può inventarsi il nome di un paese immaginario e raccoltarlo come se davvero esistesse: siamo l'unico paese che retribuisce chi brucia la propria bandiera e insulta volgarmente le istituzioni di cui fa parte.
Chi rompe sistema i propri pargoli per, quando e se, verrà forse, un tempo in cui non potrà più rompere.
Chi rompe non paga più e ha capitalizzato a sufficienza per affrontare i tempi delle vacche che si fan sempre più magre, ma con una certa ostinazione può rubare tranquillamente quel che resta nelle casse del povero e sostituire il contante con un sempre più improbabile pagherò.
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lunedì, 24 ottobre, 2011, 10:24
Nient'altro che notte
e quel che buio appare
è solo sfumatura di luce
premessa del giorno a venire.
Quel che sembra oscuro
e al silenzio conduce
non è davvero la tenebra
è parola nuova da capire.
Tutte le lacrime di ieri
tutto il sorriso di domani
è forse tempo di quiete
quanto oggi accade?
La misura del presente
l'equilibrio dei mondi
la farsa e la tragedia
in uno stesso scorrere.
Accendo la luna d'ottobre
la tengo cara sul comodino
chiudo leggere le palpebre
attendo il bagaglio dei sogni.
Ogni istante è l'ultimo
tra ferita e cicatrice
tra nascita e morte
tutto cerca un altrove.
A tutti è data occasione
di ascoltare un Dio che parla
ai santi è data la croce
di avvertirne il silenzio.
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venerdì, 21 ottobre, 2011, 08:18
Noi che non siamo normali perché non riusciamo a sorridere della morte di nessuno, neanche di quella di uno dei tanti dittatori di questo mondo. Qualcuno perde il potere, qualcuno lo acquista e il risultato, difficilmente cambia: i buoni si autodefiniscono tali e, hanno già pronta la figurina che identifica il prossimo cattivo che minaccia il mondo.
Sembra la trama di un pessimo fumetto di supereroi o di un film western che continua a raccontare la cattiveria e l'inciviltà degli "indiani".
Noi che non siamo normali e siamo sprovvisti di partiti e tessere d'appartenenza che rafforzano la fragilità di un'identità che nutre se stessa ascoltando rigorosamente una sola campana.
Noi che non possiamo essere normali, se la normalità è la quotidiana soppressione delle differenze.
Se proprio dobbiamo essere uguali, allora, cercheremo di coltivare un sogno in cui ognuno è identico all'immagine più bella che ha sperato e creduto di se stesso.
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mercoledì, 19 ottobre, 2011, 09:25
La mia inutile antenna è ormai oggetto d'antiquariato.
Talvolta si connette alla memoria del tempo che fu e ricorda l'ora della tv dei ragazzi, un frammento d'un vecchio sceneggiato o il mezzobusto di un telegiornale che, almemo in parte, potevano giusticare il pagamento del canone televisivo.
La mia inutile antenna non ha resistito al passaggio al digitale terrestre e mi ha comunicato in ogni modo il suo disappunto per la solenne fregatura di una tecnologia inutile e superata.
La mia inutile antenna vuole andare a dormire senza incorrere nell'incubo di un Minzolini rapace, di un Facchinetti che scelga la colonna sonora del sogno o di un Fulvio Collovati che parli anziché utilizzare i piedi.
La mia inutile antenna, s'è spenta da mesi e non ha più nostalgia di quanto Rai3 faceva passare nelle ore notturne.
Nessun rimpianto.
Osservo la mia inutile antenna e insieme a lei, cerco la profondità di un segnale chiamato silenzio.
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lunedì, 17 ottobre, 2011, 16:58
Se dovessi suggerire un film a una persona che di rado frequenta le sale cinematografiche, non avrei dubbi in proposito e per questo 2011 sceglierei l'ultimo capolavoro di Paolo Sorrentino.
"This must be the place" ha tutte le carte in regola per aggiudicarsi l'Oscar come miglior film straniero, è qualcosa di nuovo che attinge dalle grandi firme della regia anglosassone e, nello stesso tempo, resta un film Italiano.
E' un road-movie, ma il vero mezzo di trasporto è quell'uomo che cammina un po' curvo e goffo trascinando un trolley, con il viso prigioniero di un'adolescenza mai risolta.
Sean Penn è un gigante, una maschera bambina che tiene in ostaggio l'ipotesi di un adulto e nasconde se stesso, ora soffiando su un ciuffo di capelli, ora rifiutando di essere padre e di essere figlio.
La sceneggiatura è ricca di silenzi che hanno lo stesso valore delle parole che viaggiano ironiche e amare, ciniche e commoventi.
La colonna sonora di David Byrne (Talkin Heads) è coinvolgente e ricca di suggestioni che arrivano dritte dritte al cuore.
E dopo tanto viaggiare, finalmente un approdo: c'è la speranza di perdonare se stessi e di abbandonare i mostri della propria adolescenza e ogni paura di crescere.
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