venerdì, 28 gennaio, 2011, 18:25
Prenderei il largo e raggiungerei il mare aperto.
Lo farei scegliendo un vento che abbia uso di coscienza e una bussola in cui il nord non risulti taroccato dalla voce dei sondaggi.
Lascerei la penisola dei reality e digiunerei volentieri senza la compagnia di Belpietro, ma anche lontano da Santoro.
Eviterei di spiegare quel che provo al naufrago di un isola lontana, ma gli chiederei il permesso di soggiorno, almeno per qualche mese, il tempo di provare a disintossicarmi.
Vorrei ricordare a me stesso che cos'era la vita prima di diventare il pessimo spettacolo a cui, tutti insieme, stiamo partecipando.
Com'era bello il monoscopio!
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giovedì, 27 gennaio, 2011, 11:10
Mi volto e, dopo anni di destra, di sinistra, di centrodestra e di centrosinistra vedo i centottanta gradi che non avevo considerato.
Non c'è nulla di volgare in un bosco addormentato e non è scurrile l'immensa pianura...
Non c'è gente che si intrattiene tra le lenzuola del premier e non ci sono appartamenti a Montecarlo di dubbia proprietà; c'è l'essenza della vita che un albero qualunque rilascia ogni giorno, c'è lo scorrere delle acque di un torrente impetuoso, ci sono uomini e donne di ben altra statura e dignità.
Centottanta gradi dopo, tacciono le penne e le arringhe, non ci sono plastici e mostri e, il museo delle cere parlamentari si può sciogliere senza lasciare alcuna traccia.
Perché abbiamo diritto a un mondo differente e a un paese che possa essere descritto con tinte pastello e la natura più viva degli affetti.
Perché se non riusciamo a dire basta tutti insieme, allora, posso voltarmi e intuire quel domani che vorrei non lasciarmi alle spalle.
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mercoledì, 26 gennaio, 2011, 11:46
Vorrei tornar bambino e camminare lentamente sul tappeto di foglie di un parco, là dove il mondo va a finire e i conti, liberi da qualunque numero, diventano orizzonti che bussano alla casa dei giorni infiniti.
Vorrei sedermi su una panchina e riappropriarmi della saggezza di un'età che, diventa ridicola, se ti perdi ancora a inseguir gonnelle con capelli incollati e la pelle stirata qua e là.
Vorrei ascoltare le partite di calcio con la radiolina all'orecchio e un gesto della mano che sancisce il disappunto per un rigore non assegnato.
Vorrei accompagnare un nipote a catechismo, prendere un autobus che mi allontani dal centro commerciale e riconsiderare la forza dei sogni che mi hanno accompagnato.
Vorrei fare pace con il creato e chiedere perdono per l'acqua che ho sprecato, per l'aria che non ho respirato e per i troppi mugugni, le recriminazioni e le offese a cui ho dato importanza eccessiva.
Vorrei ricordare gli amici che mi hanno preceduto e continuare a sentire il mistero della loro presenza al mio fianco.
Vorrei un taccuino e una biro per appuntare quel che ancora mi potrà stupire e un nuovo romanzo da scorrere con la fantasia di chi ha ancora voglia di ascoltare una storia.
Vorrei una fede che non diventi ottusa, triste e bigotta.
Vorrei diventar bambino e frequentare un po' di più il mio angelo custode e che il mondo, questo mondo, continui pure a girare veloce mentre per me tutto rallenta e il passo mio sfuma in dissolvenza.
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martedì, 25 gennaio, 2011, 09:23
E' festa quando sono semplice e condivido un bicchiere di buon vino con un amico o, passeggio in aperta campagna e mi lascio accarezzare dal vento ubriacandomi del colore delle foglie.
E' festa quando suona un campanello che da troppo tempo tace, quando rido di me stesso ed evito di indossare un muso permaloso, quando mi congratulo con me medesimo senza ombra di narcisismo.
E' festa perché divento ogni giorno più simile a que che sono, per quel sogno che si realizza a puntate, per la vita che anche oggi si è degnata di darmi appuntamento e di presentarsi puntuale.
E' festa in un raggio di sole, nel freddo che affronto senza lamentarmi troppo, nelle vicende che s'intrecciano e regalano più di un motivo per sorridere.
E' festa e non voglio rovinarla pensando ai festini altrui: sono contento di esserci e, per un giorno, mi accontento di essere io la notizia lieta che stavo aspettando.
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lunedì, 24 gennaio, 2011, 09:18
Tutto è relativo: l'uso del pronome e quello del congiuntivo, pagare le tasse o parcheggiare in terza fila, andare a scuola o inventarsi una febbre qualunque e chiamarla "legittimo impedimento".
E' relativo il rigore morale, facoltativo l'uso di ragione e del tutto inutile l'uso di coscienza.
E' relativa l'Italia e se non ti piace; puoi ridurre il numero di regioni e chiamarla Padania o, come i bambini un tempo, se mai ti sentissi neutrale, urlare forte Svizzera e attendere il tuo Hamburger quotidiano.
E' relativa la notizia, se ti stanchi e fai fatica, puoi non leggere e limitarti ad ascoltare: un atto giudiziario ha lo stesso valore della parola di una velina rubata alla raccolta di pomodori in Emilia, alla questua di fronte a un supermercato o, al marciapiede di un viale alberato.
E' relativa la dignità della persona perché il fato assegna qualcuno a Palazzo Grazioli e qualcun altro lo siede su un gommone.
E' relativo e, il popolo Italiano, ama così tanto le follie del proprio imperatore: non riuscendo a vivere in quel modo, resta comunque seduto in poltrona a battere le mani, a invidiare, a sostenere e a incoraggiare, la vanità e il narcisismo di un piccolo uomo alle prese coi capricci di uno smisurato superego, del tutto incapace di frequentare la terza età.
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