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Anche il semplice segno di una croce non è mai lo stesso e l’atto meccanico con cui un bambino lo apprende, è ben diverso da quello compiuto da una persona anziana che traccia su di sé il mistero di un Dio che aggiunge un giorno di storia alla nostra vita.
Ci sono tutti gli orizzonti possibili, i frammenti di verità che dobbiamo ancora cercare e la sintesi di una vita che respira consapevolmente all’ombra della propria origine.
Una mano resta in ascolto del battito e del ritmo del proprio cuore; l’altra si avventura dove la mente proclama l’affetto del Padre, il ventre riconosce nel Figlio il dono del proprio corpo e le spalle invocano la presenza dello Spirito Santo per portare dignitosamente il peso e la fatica dei propri anni. E non si è soli in quel breve istante che non è figlio della scaramanzia o dell’abitudine, ma di una Presenza che connette il limite all’infinita grandezza di Dio.
Quel segno va annunciato ai popoli, raccontato più volte ai bambini, difeso dalla banalizzazione e dalla ripetitività e vissuto con l’intensità di chi afferma nell’apertura di una preghiera la sua stessa essenza.
Quel segno ti ricorda che non sei nato per produrre, ma per dare frutto e non sei al mondo per competere inutilmente, ma per stabilire rapporti che solo Dio può rendere realmente umani.
E se quel segno oggi è stato solo opera di un riflesso condizionato e si è detto velocemente col pilota automatico, la stazione di controllo della propria anima è libera di tornare presente e di ripeterlo mettendo da parte la consueta fretta e le dannose interferenze.
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