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Tra il dire e il capire c’è di mezzo quel soffrire e quel morire che sono mai semplici da accettare e comprendere, per poter seguire consapevolmente quel Gesù che vorremmo seguire.
Il rifiuto è sempre dietro l’angolo, il desiderio di accomodare i pensieri di Dio in una zona di maggior conforto per evitare lo scandalo della croce… è davvero un attimo a distinguere il dire dal tradire.
Confessare che Gesù è il Cristo in una proclamazione della propria fede può risultare elementare, ma fare nostre quelle che sono le convinzioni di Gesù sul suo essere il Messia e accettarne le conseguenze è un impegno preciso per tutti i giorni della nostra vita.
Riconoscere il volto di Dio in quell’uomo che muore in croce è liberare la nostra mente e il nostro cuore dalla ricerca effimera del successo, del consenso e dell’approvazione di quanti ci circondano.
Il senso della vittoria di Gesù sul peccato e sulla morte non è sempre in linea con le nostre prospettive troppo umane e la mediocrità di piccoli traguardi che non tollerano l’ipotesi del fallimento e finiscono con l’accontentarsi di uno dei tanti trofei che questo mondo può offrire.
Le idee che gli altri possono avere sul Maestro non possono e non devono condizionare la realtà dell’annuncio che abbiamo ricevuto e che ad altri abbiamo il compito di consegnare. Ridimensionare la portata della passione, morte e risurrezione di Gesù per andare incontro a chi desidera ripetuti sconti, rivisitazioni contenutistiche dell’immagine e adeguamenti alla sensibilità di questi tempi malati non è una soluzione: da un lato finiremo con l’alimentare la confusione sull’identità di Gesù e dall’altro, perderemo anche la nostra.
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