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Lei dorme e il mio compito è quello di credere e di annunciarne il risveglio.
Lei dorme il sonno di un respiro che l’orecchio umano non può ascoltare, ma la semplicità di uno sguardo di fede attende pazientemente e si affida al Maestro del giorno che non ha più fine.
Lei soffre e non c’è medico che possa restituirle salute e benessere. Lei dovrebbe tacere la sua condizione e imparare a coesistere con quel sangue che continua a cercare altrove una via di fuga.
Lei non si arrende e tace quell’urlo che non conosce le parole, ma si muove a cercare quel contatto che è sicura guarigione e trova salvezza in un lembo di mantello che riconosce la forza e la decisione di una fede che muove passi e pensieri nella giusta e opportuna direzione.
Lei dorme per sempre, l’affermazione dei presenti non ha alcun margine di dubbio, lei è prigioniera di un corpo che non diventerà adulto e non potrà sfuggire alla corruzione di una vita ormai interrotta.
Lei e tutte le altre e gli altri che dalla corsia di un ospedale potranno solo osservare i titoli di coda di un’esperienza che potrà essere solo ricordo e memoria…
Lei e tutte le altre e gli altri che leggi su una lapide, come se quelle pietre dovessero tenerle in ostaggio per l’intera eternità.
E noi? Noi siamo davvero svegli, vivi e lucidi?
Vogliamo lasciare l’ultima parola alla malattia e alla morte?
Ci accontentiamo di una fede minuscola che non va oltre i discorsi di circostanza e gli stereotipi del linguaggio della misera consolazione?
E se quel risveglio fosse alla nostra portata? Se iniziassimo ad aprire gli occhi sin da questo istante?
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